domenica 15 dicembre 2013

La Biodiversità. Ma ci serve?


Spesso se ne sente parlare. Viene nominata e considerata come una fondamentale necessità o qualcosa da salvaguardare prima che sia troppo tardi.

Ma è una moda passeggera, tipo le diete “rivoluzionarie” che ogni anno si affacciano promettenti miracoli?
O piuttosto è come una tendenza anti conformista (oggi si direbbe contro il  mainstream) di chi vuol essere originale e "diverso" ad ogni costo?

Cerchiamo di farci una idea.


Chi non ha mai messo nello zaino per una escursione una mela o una banana? Ma da dove arriva questa frutta e che cosa ha a che fare con la biodiversità?

La mela ha il suo “centro di biodiversità” nel Kazakistan (quello di Borat), in Asia Centrale. Proprio da li vengono i primi meli selvatici del mondo, probabilmente.


Sono riuscite a colonizzare piano piano tutto il mondo e sono comuni ovunque, in molte varietà, anche mele aspre “da far serrare i denti a uno scoiattolo”.
Per esempio, negli Stati Uniti orientali la vite non riusciva a produrre uva, e nel Sette-Ottocento si sopperiva al bisogno con delle mele (anche le più amare) dalla quali si ricava il sidro, dotato di un certo tenore di alcol.

Le mele, come molta altra frutta, hanno una caratteristica particolare: se si pianta un seme di una mela bella succosa e zuccherina, l’albero che verrà fuori produrrà delle mele che non avranno nulla o quasi a che spartire con quella originaria!
Ma proprio diversa, al limite immangiabile…
Quindi morto l’albero sarebbe morta anche la bella mela.

Da millenni ormai l’uomo ovvia a questo con la tecnica dell’innesto. Sostanzialmente stacca un ramo del melo di suo gusto e lo impianta in un melo dal frutto sgradito. In questo modo si perpetua l’albero per un po’. Furono i Cinesi a scoprirlo e l’innovazione è arrivata anche ai Romani.



Se da un lato questo ci favorisce, dall’altro ci è scappata la mano. Nel tentativo di standardizzare dimensioni e sapore delle mele, se ne è fatta una produzione industrializzata, priva di diversità, delle monospecie. Con le tecniche di marketing si invogliano le persone a comprare e cercare sempre lo stesso tipo di sapore.

Solo che la natura fa il suo corso: parassiti, funghi e batteri si accoppiano, moltiplicano e differenziano molto rapidamente, e prima o poi attaccheranno il melo che tanto piace, sterminandolo.
Il contadino interviene, ormai, non più rimpiazzando le piante con un melo resistente, ma per non perdere il feeling con i clienti, inonda le piante di pesticidi.
E gli alberi da frutta sono tra le piante più (mal)trattate al mondo.

Ma i batteri, nella loro lotta alla sopravvivenza si attrezzano e prima o poi selezioneranno individui immuni anche al più spietato dei veleni.
E così prosegue l’escalation tra pesticidi e appestanti.

Questa continua lotta, che per milioni di anni è stata gestita in autonomia dalla natura ed è stato il motore dei cambiamenti, vede ora un Don Chisciotte che cerca di opporsi, senza speranza alcuna di vittoria, affannandosi a cercare prodotti sempre più letali per difendere l'indifendibile. E invece riuscire solo ad avvelenare se stesso.

Inutile dare la colpa alle multinazionali e dipingerli come il diavolo.
In verità siamo noi a dover imparare a scegliere solo frutta da coltivazione biologica, o del contadino vicino casa, abituarsi a sapori che cambiano e non aspettarsi dalla mela lo stesso rassicurante sapore.

1. Continua....

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